ALLERTA SPOILER: Questo è il testo di accompagnamento al podcast Il Disinformatico della Radiotelevisione Svizzera che uscirà questo venerdì presso https://www.rsi.ch/web/podcast/il-disinformatico/.
---
[CLIP: spezzoni di YouTuber che parlano di dropshipping]
Dropshipping, sextortion, cryptoscam: tre termini al centro di tre richieste di ascoltatori di questo podcast. Tre tipi di attività online che molto spesso hanno conseguenze dolorose, e a volte devastanti, per chi vi rimane coinvolto.
Benvenuti alla puntata del 29 settembre 2023 del Disinformatico, il podcast della Radiotelevisione Svizzera dedicato alle notizie e alle storie strane dell’informatica. Io sono Paolo Attivissimo, e proverò a spiegare cosa si nasconde dietro queste parole nuove e insolite e come gestirne i pericoli.
[SIGLA di apertura]
Mi hanno scritto numerosi genitori, raccontando che i loro figli molto giovani chiedono di poter iniziare un’attività di dropshipping. Ragazzi e ragazze parlano di guadagni facili e cospicui, ispirandosi agli spot che vedono nei social e ai tutorial che trovano su YouTube, e i genitori spesso sono scettici all’idea di affidarsi ai consigli di sconosciuti forse non del tutto disinteressati, temono che un’attività del genere possa distogliere dallo studio e dal tempo libero, e spesso non hanno ben chiaro cosa sia questo dropshipping.
Cominciamo dalle basi: il dropshipping consiste nel vendere via Internet prodotti di vario genere, comprati sempre via Internet da vari fornitori all’ingrosso. La differenza principale rispetto alla compravendita tradizionale è che nel dropshipping il venditore non riceve la merce in un proprio magazzino per poi spedirla al compratore, ma ordina al fornitore di spedire direttamente la merce a quel compratore e guadagna sulla differenza fra il prezzo a cui vende e il prezzo a cui compra.
Il fatto che non serva disporre di un magazzino e spendere in anticipo per avere scorte di prodotti da vendere rende questa attività particolarmente adatta al lavoro da casa online e allettante per gli aspiranti imprenditori.
In sé il dropshipping non è illegale, se fatto bene. Il problema è riuscire a farlo bene, evitandone i rischi. Per esempio, il venditore, cioè il dropshipper, che molto spesso sarebbe un minorenne, è legalmente responsabile di un prodotto che non gli passa mai per le mani ma di cui deve garantire la qualità promessa. Se per caso il fornitore spedisce un prodotto difettoso o addirittura fraudolento o contraffatto, o non lo spedisce del tutto, è il venditore-dropshipper che ne deve rispondere e lo deve rimborsare, con tutte le conseguenze e i costi legali che ne possono derivare.
Il dropshipper deve inoltre spendere in pubblicità per farsi conoscere e trovare clienti, deve lottare contro la concorrenza degli altri dropshipper, deve creare un sito-catalogo nel quale offrire i prodotti, e deve pagare le tasse e rispettare tutti gli obblighi di legge. Tutte cose che hanno costi non trascurabili e richiedono tempo e impegno, con il rischio costante che dopo tutta la sua fatica i clienti decidano di tagliarlo fuori e risparmiare, comprando dalla concorrenza oppure direttamente dal fornitore.
Infatti per i clienti non è difficile scoprire chi è quel fornitore, per esempio cercando in Google l’immagine o la descrizione testuale del prodotto offerto, che spessissimo è la stessa sul sito del dropshipper e sul sito del fornitore. Inoltre i clienti sanno riconoscere i segnali tipici di un sito di dropshipping: le foto della “sede aziendale” prese da siti di immagini stock, le offerte ad alta pressione del tipo “compra questo orologio entro 4 ore 17 minuti e 15 secondi per avere lo sconto dell’80%!!” e le testimonianze più o meno inventate dei clienti soddisfatti, tipo “Maria ha appena comprato questa felpa ed è contentissima!”.
Le speranze di vendita e i margini di guadagno, insomma, rischiano di essere molto bassi per il dropshipper, e basta qualche contestazione da parte di clienti insoddisfatti per intaccare quei margini. Chi fa veramente soldi con il dropshipping è chi fornisce i prodotti e i servizi, come il sito-catalogo, il software di gestione delle compravendite, le agenzie pubblicitarie, le consulenze tecniche. Nomi come AliExpress, Shopify, Oberlo.
E poi ci sono, purtroppo, i truffatori. Gente senza scrupoli che fa pubblicità al dropshipping e lo presenta come un modo facile per fare soldi senza essere esperti e standosene comodi a casa. Gente che però chiede soldi, per esempio per far avere all’aspirante dropshipper un elenco di fornitori affidabili (che in realtà sono solo prestanome), oppure per entrare in un circolo di “affiliati” che promettono di far aumentare le vendite in cambio di un compenso fisso, oppure ancora per partecipare a costosi “seminari” che promettono di insegnare tecniche per ottimizzare il proprio sito e per vendere con successo.
In sintesi: come per qualunque offerta online, anche per il dropshipping bisogna studiare bene e informarsi sui rischi prima di investirci tempo e denaro, senza farsi abbagliare dalle promesse di facili guadagni spesso presentate su YouTube, e ricordandosi sempre che se fossero davvero facili, quei guadagni li farebbero in tanti. Studiare il dropshipping, insomma, è una buona occasione per esercitarsi a capire le complicazioni di un’attività professionale; praticarlo, invece, rischia di essere una lezione di commercio molto salata.
Il mio consiglio è di non dire seccamente “no” agli entusiasmi dei figli, ma di proporre di esplorare insieme tutte le sfaccettature di questa forma di commercio, creando un business plan, facendo una tabella di costi e ricavi, trovandosi una nicchia di mercato esclusiva, informandosi sulle leggi e facendo ricerche, prima di fare qualunque investimento di denaro. Magari alla fine non se ne farà nulla, e magari invece qualcuno diventerà un grande imprenditore, ma di sicuro si porterà a casa conoscenze ed esperienze utili per qualunque lavoro futuro. Compresa la lezione più importante di tutte: in qualsiasi corsa all’oro, quelli che fanno sicuramente soldi sono sempre i venditori di picconi.
Fonti aggiuntive: Centro Europeo Consumatori Italia; Euroconsumatori.org; Michigan.gov.
[Immagine tratta da Lexica.art]
La seconda richiesta di aiuto di questo podcast arriva da Luca, che mi scrive che suo padre che è caduto vittima di una truffa online: alcuni anni fa aveva fatto un piccolo investimento di poche centinaia di euro con un trader che poi era sparito nel nulla.
L’anno scorso è stato contattato da persone che dicevano di far parte di una società di recupero portafogli digitali che poteva aiutarlo a recuperare il suo investimento, che nel frattempo era aumentato di valore a un centinaio di migliaia di euro.
Il padre di Luca, in un periodo economicamente delicato, ha iniziato a versare migliaia di euro in bitcoin a wallet sconosciuti, per sbloccare questa cifra, finché la famiglia se ne è accorta ed è intervenuta. Ma alcuni mesi dopo il padre è caduto di nuovo nella trappola e ha ricominciato a fare transazioni tramite bitcoin per cercare di recuperare quei soldi persi.
A questa storia fa eco quella di Max, un cui amico (che chiamerò Giorgio) è stato contattato su WhatsApp qualche mese fa da una donna che gli aveva scritto per errore, sbagliando numero di telefono. Dall’equivoco era nata una lunga conversazione amichevole, nella quale lei gli aveva raccontato qualcosa della sua vita: la sua passione per le arti marziali usate per l’autodifesa delle donne, il suo lavoro nella gestione delle criptovalute, e lui aveva ricambiato raccontando qualcosa della propria vita. I due si erano scambiati qualche foto, scrivendosi per giorni e tenendosi compagnia a vicenda con piccole chiacchiere quotidiane sulla cucina, la religione, il lavoro, le vacanze, i film preferiti.
Lei a un certo punto gli ha proposto di fare un piccolo investimento in un sito Web dedicato alle criptovalute, ma senza fretta, seguendo i suoi consigli, e le cose sono andate bene, con buoni guadagni iniziali, che Giorgio ha reinvestito. Alla fine, dopo aver versato circa 20.000 euro, ha provato a incassare quei guadagni, ed è lì che sono cominciati i problemi: con mille scuse, il sito ha rifiutato di ridargli i soldi. A quel punto Giorgio ha cercato su Internet qualcuno che potesse aiutarlo a riottenere il proprio denaro, e ha trovato molti servizi di recupero di investimenti pronti ad assisterlo in cambio di un anticipo.
Sono due storie di truffe che rivelano un secondo livello di inganno che sta mietendo molte vittime in questo periodo anche dalle nostre parti: i falsi servizi di recupero di denaro. Chi è incappato nel primo livello di truffa cerca online qualche esperto nella speranza di riavere i propri soldi, e facilmente trova sedicenti “hacker etici” che dicono di poterlo aiutare, ovviamente in cambio di una parcella, che però stranamente non sono disposti a detrarre dal denaro che dicono di essere così bravi a recuperare.
Infatti sono in realtà altri truffatori, che approfittano della situazione disperata per togliere altri soldi alla vittima già in crisi. In alcuni casi, questi secondi truffatori sono in combutta con i primi e arrivano addirittura a fingere di essere rappresentanti delle autorità inquirenti che vogliono restituire il maltolto alle vittime, ma per farlo, guarda caso, hanno bisogno di un anticipo.
Purtroppo in casi come questi la strategia più prudente è semplicemente troncare le comunicazioni, segnalare la vicenda alla polizia (quella vera), presumere che i soldi dati ai primi truffatori siano persi per sempre, e leccarsi le ferite prima che peggiorino. Qualunque presa di contatto da parte di persone e organizzazioni che dicono di poter recuperare il denaro va vista con grandissimo sospetto, specialmente se si parla di mandare altri soldi per “coprire le spese” oppure di fare hacking per recuperare le somme bloccate. Ma l’imbarazzo e la disperazione di chi è stato truffato rendono molto difficile una scelta così lucida. Siate prudenti, e se avete amici o familiari che considerate a rischio, parlatene con loro. La prevenzione aiuta.
[Immagine tratta da Lexica.art]
È l’una e mezza di notte: squilla il telefono, e una voce angosciata mi chiede aiuto. È un ragazzo che è appena stato vittima di una sextortion: è stato contattato online da una bella ragazza sconosciuta, che in videochiamata su un social network si è esibita spogliandosi e gli ha proposto di fare altrettanto. Lui lo ha fatto, ma poi ha scoperto che la ragazza disinibita era solo un’esca pilotata da un criminale, che ora lo ricatta pretendendo soldi per non pubblicare la registrazione di quello che ha fatto il ragazzo davanti alla telecamera.
È un copione classico, che però continua a fare vittime, per cui è il caso di ripassare i consigli degli esperti su come comportarsi quando è troppo tardi per parlare di prevenzione e ci si rende conto di essere finiti in una trappola del genere.
Prima di tutto, non pagate: è inutile e la Prevenzione Svizzera della Criminalità lo sconsiglia esplicitamente, spiegando che “pagare il riscatto non garantisce che le immagini o i filmati non siano pubblicati comunque. Inoltre, spesso, l’estorsione continua anche dopo il primo pagamento con la pretesa di una somma superiore.” Conviene invece interrompere subito i contatti, cancellarli dalla lista degli amici e non rispondere a nessun messaggio proveniente dal ricattatore. Se il video è stato pubblicato, contattate la piattaforma social che lo ospita e chiedetene immediatamente la rimozione. Queste piattaforme sono molto sensibili al problema e di solito agiscono molto rapidamente.
La Prevenzione Svizzera della Criminalità raccomanda inoltre di raccogliere tutti i mezzi di prova, “le immagini e i filmati oggetto dell’estorsione, i dati di contatto dei ricattatori e della donna, tutti i messaggi ricevuti da costoro (sequenze di conversazione via chat, e-mail ecc.), le indicazioni per il versamento del riscatto” e poi sporgere denuncia, dato che l’estorsione “è un reato perseguibile d’ufficio” e quindi “la polizia è tenuta a avviare le indagini non appena viene a conoscenza di un caso”.
[Il sito della PSC dice testualmente: “La sextortion comporta sempre un tentativo di estorsione nei confronti della persona filmata. Dato che l’estorsione ai sensi dell’articolo 156 CP è un reato perseguibile d’ufficio, la polizia è tenuta a avviare le indagini non appena viene a conoscenza di un caso”]
Andare a denunciare una situazione del genere, specialmente se si è giovanissimi e magari in una situazione familiare poco aperta a queste questioni, è difficile. Ma se può essere di conforto, si tratta di comportamenti molto diffusi e soprattutto non punibili dalla legge. La Prevenzione Svizzera della Criminalità, infatti, precisa sul suo sito che “la giustizia persegue i reati e non le debolezze umane”, e qui l’unico reato è quello commesso dai criminali che stanno compiendo l’estorsione.
Alle raccomandazioni delle autorità posso aggiungere qualche suggerimento dettato dall’esperienza, visto che richieste di aiuto di questo genere mi capitano spesso. Il primo suggerimento è che rendere privati i propri profili social è utile, ma non conviene chiuderli completamente.
Il secondo, più importante, è che il punto debole dei criminali è che se resistete alle loro richieste di pagamento, il vostro video intimo per loro non vale più nulla e diventa anzi una perdita di tempo. Inoltre sanno che se lo pubblicano su una piattaforma social, verrà rimosso molto rapidamente dai filtri automatici e il loro account verrà bloccato e dovranno aprirne un altro. E se pubblicano il video altrove, a quel punto è ovviamente inutile che paghiate il riscatto, per cui normalmente si limitano a minacciare la pubblicazione. Dato che di solito hanno molte vittime di cui si stanno occupando contemporaneamente, è molto probabile che se opponete resistenza vi lasceranno perdere, senza pubblicare il video neppure per ripicca. A modo loro, sono professionisti, e non hanno tempo da perdere con gesti inconcludenti. Se considerate tutte questo cose, diventa più facile rendersi conto di essere tutto sommato in una posizione di forza, nonostante le apparenze.
E giusto per dare un’idea di quanto siano cinici e di quanto sia inutile pagare nella speranza di eliminare i video, vi segnalo un caso recentissimo che mi è capitato: un altro ragazzo, oggi ventunenne, è stato contattato da dei criminali che hanno minacciato di pubblicare un suo video intimo ottenuto con questo inganno anni prima da altri truffatori. Il ragazzo all’epoca aveva pagato, ma i criminali, invece di distruggere il video, lo hanno rivenduto ad altri malviventi, aggiungendo guadagno al guadagno. Il nuovo tentativo di estorsione, comunque, è stato respinto.
[NOTA: queste raccomandazioni valgono nel caso di criminali che agiscono a scopo di estorsione. Purtroppo esistono anche persone che usano la stessa tecnica per ricattare persone molto giovani e indurle a sottoporsi ad abusi personali durante incontri diretti con i ricattatori, come in questo caso britannico in cui un uomo di 24 anni si è finto una ragazzina sui social network, adescando ragazzi da 11 a 16 anni e facendosi mandare immagini intime che minacciava di diffondere se le vittime non assecondavano le sue richieste]
Dato che questi comportamenti riguardano fasce d’età sempre più giovanili, non è mai troppo presto per parlarne in famiglia e mettere in guardia contro questo genere di ricatto, messo in atto con ragazze molto convincenti che sono complici dei criminali. Anche qui, la prevenzione è sicuramente meglio della cura, e magari evita una telefonata di panico all’una e mezza di notte.